Arte Africana                                                                     www.africarte.it

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COMUNE DI ASTI

 

Battistero di San Pietro in Consavia

 

 

 

 

                                   

 

AFRICA  in  FORME

Trasformazioni del corpo femminile

nella scultura africana

 

Le opere esposte provengono tutte da collezionisti privati

 

a cura di 

Bruno Orlandoni


16 Maggio - 6 Agosto 2008

 

Auguri

 

                                                                                              Marcello Lattari

 


 

 

REPORTAGE   FOTOGRAFICO

Recensione di Marcello Lattari

 

 

 

Comunicato stampa

        Invito           

     Presentazione   

   Alcune Opere   

 

 

 

recensione di Marcello Lattari

 

 

 

 

 

"AFRICA IN FORME":

continua l'esplorazione per una libera mutazione intellettuale!

 

L'Incontro

Mi appresto a pigiare il pulsante del citofono per cominciare a visitare la mostra, quando una voce, con la erre francese, chiama il mio nome: Marcello! Subito mi volto e vedo che qualcuno viene verso di me: ciao!, sono Bruno, mi dice, sono Bruno Orlandoni. Dopo i normali e rituali convenevoli ed aver fatto la conoscenza di un'altra squisita persona, Walter Borella, anch'egli membro del comitato scientifico, ci incamminiamo verso il monumentale Battistero di San Pietro ed avverto come essere pervaso da una splendida sensazione di ospitalità che di seguito si trasformerà in una ferrea ed indiscussa certezza.

 

L'onestà intellettuale

Com'é piacevole pensare di trascorrere qualche tempo con delle persone che hanno, nella loro essenza, il tuo stesso indirizzo culturale! Ed è anche esaltante il pensiero che quasi sicuramente da loro si potrà apprendere qualche altro livello di conoscenza, ingrandendo e fortificando così la propria capacità per la ricerca speculativa ed affilando ancor di più le armi con maestria per combattere e certamente vincere gli evanescenti ed altrettanto falsi poteri  precostituiti in modo auto-referenziale che ordiscono trame per usurpare con fellonia l'onestà intellettuale, addomesticandola non soltanto "pro domo sua" per un'evidente esteriorità di comodo, del pari al vessillo degli ignavi, ma tentando anche di renderla effettivamente schiava di una sparuta e fatua oligarchia, bugiarda, perfida, falsa e menzognera soprattutto con se stessa, che boccheggia in una decadente quanto patetica condizione simile a quella del professore avvinghiato alla sua cattedra dopo la degradante avventura con l'angelo azzurro. Non esiste nulla di più volgarmente e trivialmente indicibile della condizione miserevole della parodia di un uomo che crede di essere il padrone e possessore assoluto della verità: questi esseri umani risultano essere i peggiori nemici della intera umanità e bisogna assolutamente dimensionarli alla loro effettiva, reale e, purtroppo per loro, piccolissima, inconsistente ed anonima valenza intellettiva.

 

Il pedigree: probabile illusione di "autenticità"

Varcato il portone d'ingresso, eccomi a contatto visivo con l'esposizione delle opere tribali del continente africano ed il mio desiderio di visitare la mostra sta realizzandosi nel migliore dei modi. Opere inedite: finalmente! Che meraviglia! Quale rara occasione! Il primo pensiero corre immediatamente all'uso improprio che si fa del vocabolo "autenticità". E' ormai una "verità" marchiata Friedrich W. Nietzsche (La verità è un esercito in movimento di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve, una somma di relazioni umane che sono state poeticamente e con retorica ingigantite, trasposte, ingioiellate e che, per essere state usate a lungo, appaiono ad un popolo salde, canoniche e vincolanti. Le verità sono illusioni di cui si è dimenticato che sono tali.) quella di usare il termine "autentico" per definire un "originale". La parola "autentico" presuppone l'attribuzione certa ad un singolo autore, come per esempio nell'arte africana, al maestro di Buli e non ad un popolo intero. Finiamola con la decadenza linguistica! E non è certamente un "pedigree" che equivale ad una firma autografa; anzi normalmente i classici pedigree nel tempo sono stati "con retorica ingigantiti, trasposti, ingioiellati e che, per essere stati usati a lungo, appaiono ad un popolo saldi, canonici e vincolanti" ed invece possono essere soltanto delle illusioni di "autenticità" per chi non ha la facoltà di avere una propria convinzione derivante da uno studio serio di ricerche, comparazioni, analisi, esperienze ottenute con enormi sacrifici e con il trascorrere delle notti insonni intento a studiare. Inoltre il termine inglese "pedigree" si traduce in italiano "di razza": vogliamo, dunque, promulgare anche per i manufatti artistici africani le leggi razziali? Tutto ciò, per un vero studioso, risulta ridicolo e lascio volentieri l'utilizzazione ad hoc di questo simpatico e strano vocabolo zoologico inglese a tutti i mercanti come spalla a cui appoggiarsi per supportare una richiesta più esosa e remunerativa nella trattativa di vendita ad una persona che voglia effettuare degli investimenti, travestita e pateticamente mascherata da collezionista di "oggetti d'arte".

 

Il Comitato Scientifico

Guardo a destra ed a manca. Sono leggermente e piacevolmente confuso. Ammiro l'insieme dell'esposizione nella splendida cornice della maestosità del Battistero, incredibile contenitore anacronistico e tuttavia intriso di simbiosi mutualistica compatibile, eccezionale fusione dell'universalità dell'Arte nel Tempo e nello Spazio. La scenografia è perfetta ed un'atmosfera satura di ieraticità, direi "egiziana", riesce a corrompere la mia razionalità e colpisce al cuore il mio "nyama" tanto da trasformarmi in un Cavaliere Rosacroce per cavalcare le onde del Tempo ed immedesimarmi comparativamente nella contemporaneità e nel nostro Neolitico. Sull'origine tribale delle opere esposte, come anche sulla loro valenza artistica, sarebbe fuori luogo e non oggettivo ogni mio commento, dato il brevissimo lasso di tempo a disposizione veramente insufficiente per ogni analisi approfondita, essendo evidente l'autorevolezza del Comitato Scientifico della mostra che non ha certamente alcun bisogno di essere corroborato dalla mia disamina, critica ed approvazione ed ho enorme piacere, altresì, di elencare immediatamente il suddetto Comitato:

Gian Luigi Bravo - docente di Antropologia Culturale, Università di Torino -

Walter Borella - esperto di Arte Africana -

Renato Capra - esperto di Arte Africana -

Ottavio Coffano - docente di Scenografia e di Letteratura e Filosofia del Teatro, dell'Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino -

Guido Curto - docente di arte e direttore dell'Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino -

Pier Carlo Grimaldi - docente di Antropologia, Università di Scienze Gastronomiche, Pollenzo - Bra -

Gian Luigi Nicola - docente di Conservazione e Restauro, dell'Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino -

Bruno Orlandoni - docente di Storia dell'Arte -

Beppe Rovera - giornalista RAI -

Alberto Salza - antropologo sul campo, comitato scientifico del Centro Studi Africani del Piemonte -

La mia ammirazione ed il mio plauso al Comitato Scientifico significano soltanto una modesta cornice che inghirlanda la sua ben più importante consistenza, serietà, rispettabilità ed autorevolezza: attributi che oggettivamente, logicamente e scientificamente sono e resteranno indiscutibili.

 

La visita

Inizio a camminare lentamente e, come è mia consuetudine, in senso antiorario, per meglio assaporare la graduazione dell'esplorazione del pari ad un mistico iter di iniziazione. Infatti l'atmosfera lo permette e, nella disposizione eclettica delle opere esposte, si viaggia non in reparti o settori tribali resi contigui dalla convenzionale razionalità, bensì nella assoluta situazione del caos primordiale, dove il visitatore è libero di esercitare il diritto all'uso del proprio intelletto, avendo l'opportunità e la facoltà di utilizzare la propria intuizione per assorbire dalla splendida, interessantissima ed anche bellissima esposizione qualsivoglia insegnamento tacito,segreto o misterioso che, recepito, diventa magistralmente loquace. Nell'osservare gli stilemi, si spazia dal puro "astrattismo" del Sudan Occidentale al "naturalismo" della Costa d'Avorio e dell'area propria del Golfo di Guinea; dall' "eclettismo nigeriano" all' "arte religiosa e del culto dei morti" degli 'Mbete del Gabon: ed il tutto viene miscelato con l'area del Congo tanto da diventare, per affinità elettive, un composto irreversibile. Richiamarsi ad una singola opera è impossibile, perchè in tal guisa si renderebbe ingiustizia e si sminuirebbe la ricchezza di informazioni da interpretare che hanno tutte le altre opere esposte. Pertanto ritengo che, come in ogni collezione che si rispetti riescano a "convivere" opere di diverso livello artistico e di differente anzianità, in una esposizione come "Africa in Forme" non sia stato errato eseguire un'idea di una sorta di "reale cosmopolitismo africano", a mio avviso utilissimo, didattico e straordinariamente efficace per offrire al visitatore un argomento di verifica e di paragone con i propri indici di valutazione. A volte un'eccezionale opera d'arte si valorizza maggiormente allo sguardo del fruitore se nelle immediate vicinanze è collocato un oggetto di mediocre valore artistico: il paragone verrà spontaneo ed il giudizio che ne scaturirà, da un convincimento di pura comparazione e derivante da logica deduttiva, sarà sicuramente oggettivo.

 

Conclusione

Alla fine di qualunque scritto si arriva alla inesorabile conclusione. E' sempre triste "concludere". Quando si chiude una parentesi è come se si estinguesse un ciclo della memoria con la relativa paura di perderla definitivamente. Ma è proprio così che è nato il Culto degli Antenati: custodire sempre accesa la fiaccola della Memoria. Mai nessuna cosa al mondo morirà o si estinguerà realmente fin quando se ne avrà il ricordo. Nella mia fiera e martoriata Calabria, nel  saggio linguaggio popolare, quando si racconta di una persona morta, si usa dire queste parole: "la felice memoria di mio padre"! E mio padre vive ancora oggi, al mio fianco, come colonna dorica a cui appoggiarmi, perchè non è mai stato dimenticato. La nostra mostra chiude il 6 Agosto 2008 e, con la sua conclusione, darà origine ad un nuovo e più selettivo ciclo, innanzi tutto facendo germogliare il seme di una vera e reale interpretazione intellettuale dell'Arte Africana, nella sua naturale collocazione di libertà, e poi scacciando subito i vari cuculi, sia venali che vanagloriosi, i quali, indegnamente e proditoriamente, lottano per usurparne, con trasformismo di maniera, il posto e la sede.

Ringrazio tutti gli organizzatori della mostra ed in modo particolare il dott. Bruno Orlandoni, il dott. Walter Borella ed il dott. Renato Capra, meravigliosi ospiti, con i quali ho avuto occasione di stabilire un contatto diretto; altresì mi auguro di instaurare anche con tutti gli altri membri e componenti del Comitato Scientifico un rapporto di seria e fattiva collaborazione, sempre e comunque, facendo grande tesoro degli eventuali errori commessi, per far sì che ne risulti una vera e reale interpretazione intellettuale dell'Arte Africana.

Asti, 22 Luglio 2008

Marcello Lattari

 

 

 

 

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