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SHIRA-PUNU-LUMBO: mukudji mask

 

 

                             

 

 

Maschera facciale  " Mukudji " - Shira/Punu/Lumbo: Gabon

Legno duro, pigmenti, caolino, patina d'uso. Dimensioni: h cm 28 x L cm 18,5  (nella fotografia in dimensione reale)

Le maschere facciali " Mukudji " sono, per convenzione, attribuite ai popoli Shira-Punu-Lumbo, indigeni della foresta tropicale che, pressati dall'invasione dei Fang, si sono stabiliti al sud ed al sud-ovest del Gabon. Questi popoli fanno parte di un insieme molto complicato di oltre quaranta etnie del Gabon, con istituzioni molto simili e la cui vita quotidiana è regolata dalle stesse consuetudini ed adattamenti per sopravvivere in un ambiente geografico molto ostile. Senza organizzazione politica centralizzata, la vita sociale si concentra nei villaggi e nei clan. Rendono culto agli antenati ed ai " geni tutelari " e società segrete a sfondo esoterico per propugnare ed attuare riti di iniziazione, come confraternite, regolano la vita sociale a scopo terapeutico e giudiziario, come appunto la società " Mukudji ". Questi gruppi hanno statue e maschere che appaiono in pubblico durante rituali funebri, cerimonie di iniziazione o riti magici di cui la funzione specifica è quella di scoprire gli stregoni.

Le maschere bianche sono celebri in tutto il Gabon; il loro stile è più naturalistico al Sud che non al Nord ed è caratterizzato da un viso ovale o triangolare con capigliature ad una o più acconciature divise da scriminature, da una fronte piuttosto bombata, da occhi con fessure a chicco di caffè in orbite leggermente incavate, da un naso realistico con narici marcate. Le labbra spesso sono orlate, gli zigomi sono sporgenti ed il mento appuntito. Alcune maschere portano delle scarificazioni a forma di losanga sulla fronte, tra le sopracciglia, e/o sulle tempie. Come presso i Dan della Costa D'Avorio, il danzatore monta su dei trampoli molto alti e, restando invisibile sotto il vestito di rafia, tenendo in ciascuna mano uno scacciamosche, percorrendo in lungo ed in largo tutto il villaggio eseguendo dei salti incredibili, indossa la maschera facciale aiutandosi con i denti che stringono una piccola bacchetta di legno fissata sul dorso della maschera attraverso gli appositi buchi laterali (vedi maschera di profilo). Quando le maschere sono bianche significa che è tempo di festa; quando sono nere è tempo di amministrare la giustizia e punire la stregoneria (Perrois, 1979).

Le maschere " Mukudji "  devono, in gran parte, la loro raffinatezza ai loro tratti naturalistici, evidenti per chiunque abbia viaggiato nella regione di Tchibanga. Di un ovale, a dir poco perfetto, che si affina dolcemente nella parte del mento, dotato alcune volte di una specie di manico o maniglia, i visi delle donne considerate le più belle hanno ispirato delle opere veramente commoventi. L'espressione è valorizzata da due occhi semichiusi, a mandorla e "alla cinese", di cui le palpebre rigonfie evocano il "dormire sognando" o l'estasi. Numerose sono le varianti dei tratti degli occhi che derivano, il più delle volte, dalla forma bombata delle palpebre. La prima impressione di dolcezza e di armonia è data dalle labbra carnose; le scarificazioni, come già detto, variano da uno stile all'altro ed alcune ne sono addirittura prive (come la maschera sopra riprodotta) ed altre ne portano, in modo assolutamente informale, sia sulla fronte che sulle tempie. Spesso i motivi a forma di scaglie marchianti la fronte, costituiti da nove losanghe messe in risalto dal nero e dall'ocra rossa, sono i segni della loro identità. Queste scarificazioni, da loro chiamate " mabinda ", venivano realizzate sui ragazzi la cui età oscillava tra i dieci ed i quattordici anni.

La testimonianza scritta più antica, su queste danze e maschere, sembra essere quella dell'esploratore americano Paul du Chaillu che si recò in tre riprese nel Gabon e vi soggiornò in totale per una dozzina d'anni. Il 9 giugno 1865 assistette ad una uscita delle maschere: " L'ocuya è un uomo che marcia e danza sui trampoli, portante una grande struttura somigliante ad un gigante bizzarramente addobbato ed abbigliato (...) Appariva con una maschera bianca (...) Ciò che mi colpì e mi sorprese come una coincidenza assolutamente buffa fu che la sua capigliatura somigliava esattamente all'acconciatura di una lady..." Questa descrizione minuziosa è il solo riferimento alle maschere bianche di questo tipo e sembra che il du Chaillu non abbia mai visto nulla di simile presso gli altri popoli che visitò in questa regione.

Ben più discrete nelle loro uscite, forse perché meno numerose e destinate a dei ruoli particolari, le " maschere nere " hanno dei tratti stilistici vicini a quelle dipinte di bianco, con alcune differenze nelle proporzioni e nel trattamento della parte superiore della testa, ornata, alcune volte, di capelli naturali. Ma, come sottolinea Louis Perrois, " una stessa forma, uno stesso supporto possono prendere dei significati differenti per un semplice cambiamento di colori ". Le maschere nere esercitavano, forse, il compito di far rispettare l'ordine, con mansioni di polizia.

Alla fine di questo breve excursus sulla maschera Mukudji (o Mukuy) ci resta il desiderio insoddisfatto di conoscerne tutti i significati e, soprattutto, la meraviglia di ammirare delle maschere della foresta tropicale che possiedono i tratti stilistici delle più belle maschere del teatro giapponese con il quale, altresì, mai ci sono stati punti di contatto. Non credo esista una collezione rispettabile senza la " presenza " di una maschera " Mukudji " che, rappresentando la bellezza femminile, impreziosisce l'estetica dell'intera collezione. La nostra maschera, per la particolarità dell'acconciatura dei capelli che ricorda assolutamente la forma in uso tra le donne 'Ndjabi (vedi foto in basso), potrebbe esser inserita in quest'area etnica del Gabon, rafforzandone il condizionale. Anche se il Tempo nel suo trascorrere attutisce o a volte oscura il ricordo di un rituale facendo il vuoto intorno al suo stesso significato e vano ogni proposito di evoluzione dell'intelletto e dello spirito, è proprio in tale stadio che l'attaccamento del ricercatore sublima il mistero che ne scaturisce, lo rende affascinante e gli costruisce il sacrario che per sempre attirerà il desiderio di conoscenza di chi è predisposto, nel carattere e nello spirito, a sacrificarlo in memoria di un oltremodo disperato ma altrettanto fiero e nobile tentativo.

Marcello Lattari

 

Bibliografia:

 

1) L'ART AFRICAIN, Les principales ethnies de l'art africain par Francoise Stoulling-Marin, pag. 562, Citadelles & Mazenod, 1988, Paris.

 

2) MASQUES, pagg.77-82, Musée Dapper, Ed.Dapper, 1995, Paris.

 

 

 

 


 

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